Serafino Corno, L’arte organaria, 2019
Se dovessi indicare qual è l’aspetto più interessante di questo libro, che affronta in quasi 180 pagine il vasto tema dell’arte organaria, mi troverei molto imbarazzato. Quando, la prima volta, mi sono accinto alla lettura, man mano che i capitoli si succedevano, ne prendevo nota, e mi dicevo: questo argomento è stato trattato in modo esauriente, forse è la parte migliore del libro. Poi andavo oltre, e un nuovo capitolo suscitava un analogo interesse. E così fino alla fine, quando mi sono detto: l’autore non solo conosce bene il problema, in quanto membro di una attiva famiglia di organari attivi da molti decenni; non solo è in grado di affrontarlo con assoluta competenza; ma è anche capace di suscitare il vivo interesse del lettore porgendo la materia con grande passione, che inevitabilmente si trasmette anche a chi legge.
Prendiamo il primo argomento, con un titolo che, a prima vista, non sembra molto allettante: “Molle antiche in ottone per azionamenti organari”. Si tratta di piccoli elementi in ottone che hanno il compito di aprire e chiudere il passaggio dell’aria. Di fronte alla grandiosa complessità di un organo, un elemento che certamente non possiamo chiamare secondario – nulla è secondario nel corpo dello strumento – ma non di primo impatto, e inoltre assolutamente non visibile. Grazie alla consulenza di Francesco Viganò, apprendiamo la funzione di questo importante elemento con molta ricchezza di particolari, ma ci viene anche spiegata quella specie di insolubile dubbio amletico che l’organaro si trova di fronte affrontando il restauro di un organo antico. Le molle, sottoposte a un’usura continua anche quando l’organo non è in funzione, non svolgono più esaurientemente il compito per il quale sono state costruite, semplicemente perché la materia di cui sono fatte, l’ottone trafilato, col tempo perde elasticità. È necessario cambiarle, ma questo cozza contro l’esigenza conservativa connaturata al restauro. Che fare?
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