Un rarissimo carica accumulatori per organi a canne

Figura 1Il carica accumulatori descritto nell’articolo a lavori di restauro ultimati.

In questo articolo tratterò il restauro di un carica accumulatori (che sono erroneamente confusi con le batterie) per organi a canne (Vedi Fig.1) davvero molto particolare e anche molto raro. Anticipo da subito che l’apparecchio mi è stato ceduto da un carissimo amico nonché organaro modenese; sicuramente molti di voi lo conosceranno; la persona a cui mi sto riferendo è Alessandro Giacobazzi (Vedi Fig.2).

Figura 2Questa foto ricordo ritrae il sottoscritto e Alessandro Giacobazzi durante una visita presso la storica ditta Balbiani di Milano. A destra: Alessandro Giacobazzi, al centro il Sig. Lorenzo Balbiani (ultimo discendente di questa conosciutissima e prestigiosa casa organaria italiana) e a sinistra il sottoscritto.

Gli antefatti di questo apparecchio risalgono alla gioventù di Alessandro e anche alla sua grande passione per le apparecchiature storico-elettriche: passione questa, identica alla mia e cioè legata all’organo e all’organaria a trasmissione elettrica. Ritengo inoltre importante segnalare che senza la comune passione appena descritta, temo sarei difficilmente riuscito a tenere fra le mani e a restaurare un carica batteria per organi a trasmissione elettrica davvero desueto e così raro.

Su questo apparecchio è necessario effettuare una breve premessa poiché sono consapevole che molti lettori non sono al corrente di come venivano alimentati i primi organi a canne a trasmissione elettrica. Al giorno d’oggi non prestiamo più nessuna attenzione a come alimentare un qualsiasi apparecchio elettrico. Voi direte: facilissimo; basta inserire la spina nella presa di corrente ed ecco prontamente funzionante qualsiasi elettrodomestico.

Purtroppo a inizio 900 non era così semplice e scontato avere prontamente e facilmente a disposizione una sorgente di energia elettrica alla quale collegare un utilizzatore. La stessa identica difficoltà si riscontrava negli organi a canne a trasmissione elettrica nei quali, per fornire una alimentazione elettrica necessaria al loro funzionamento, venivano utilizzate le batterie. Pensate che i primissimi organi dotati di questo sistema dovevano essere alimentati con batterie a liquido che una volta scariche dovevano essere gettate in quanto non potevano essere ricaricate!

La successiva invenzione dei primi accumulatori ad opera del Fisico francese Gaston Plantè (1884-1889) successivamente perfezionati dal suo assistente Camillo Faure, eliminarono alla radice il problema di esaurimento delle batterie poiché gli accumulatori, a differenza delle batterie, potevano essere ricaricati e riutilizzati nuovamente, per un altro ciclo di scarica. Il carica accumulatori (erroneamente chiamato anche carica batterie) descritto in questo articolo assumeva appunto la funzione di ricaricare gli accumulatori di un organo a canne la cui trasmissione elettrica, non era ancora alimentata dalla rete elettrica Nazionale.

A tale proposito è utile citare il mio recente articolo, presente in questo sito, che descrive il primo organo ad alimentazione elettrica d’Italia: fu progettato e costruito dalla ditta fratelli Aletti nell’anno 1903. (Se siete interessati all’articolo menzionato cliccare qui per il collegamento diretto)

Prima di inoltrarmi nella descrizione dei lavori di restauro, desideravo ringraziare di cuore Alessandro Giacobazzi che ha riservato esclusivamente alla mia persona questo singolare apparecchio. Infatti, un paio di anni fa, mi telefonò informandomi che aveva del materiale storico da cedere e che fra questo materiale c’era anche un pezzo storico di notevole importanza; quest’ultimo, lo avrebbe riservato e consegnato solo a me! Grazie quindi ancora ad Alessandro, che ricordo sempre con grande piacere poiché porta lo stesso nome del mio caro papà.

Figura 3Lo schema elettrico dell’apparecchio di carica accumulatori; è stato rilevato durante i lavori di smontaggio e di restauro.

Caratteristiche tecniche

Dallo schema elettrico (Vedi Fig.3), semplicissimo, possiamo osservare che l’apparecchio è composto da un trasformatore Tr1 che assume anche il compito di base portante, da una grossa valvola V1, da due resistori a filo R1-R2 e da due selettori S1-S2.

  • L’avvolgimento primario del trasformatore Tr1 è stato calcolato per essere alimentato a 125 volt.
  • La grossa valvola è un doppio diodo per uso industriale tipo “367 industrial” di costruzione Philips.
  • I due resistori di costruzione “casalinga” R1-R2 (Vedi Fig.4), posizionati verticalmente ai lati della valvola raddrizzatrice, sono stati realizzati con del filo di costantana dal diametro di 0,8 mm; il filo resistivo è stato avvolto a spirale su di un tubo di vetro a forte spessore. Il valore ohmico, identico per entrambe le resistenze, è stato misurato con un preciso ponte di misura ed è di 2,6 ohm.
Figura 4Uno dei due resistori a filo di costruzione “casalinga”. Come supporto per avvolgere il filo di costantana è stato utilizzato un tubo di vetro a forte spessore.
  • I due selettori a due posizioni S1S2 (Vedi Fig.5), costruiti anch’essi artigianalmente, sono stati realizzati con della Bakelite isolante. Per selezionare la tensione voluta è necessario svitare una vite della piastrina di ottone nichelato e spostare il lato della omonima piastrina nella posizione 1 di sinistra o nella posizione 2 di destra.
Figura 5Uno dei due selettori di costruzione artigianale che escludono una parte dell’avvolgimento secondario del trasformatore Tr1. Questo artificio è stato qui utilizzato al fine di fornire due diverse tensioni applicate alle placche della valvola raddrizzatrice e quindi fornire due gradini della tensione continua di uscita.

Funzionamento

Come anticipato, il circuito è semplicissimo; ritengo quasi inutile descrivere il funzionamento di un ordinario raddrizzatore valvolare a doppia semionda in quanto è conosciuto universalmente dai tecnici del settore ma anche da tutti gli appassionati che si occupano di elettricità.

Ritengo invece più importante descrivere la particolarità circuitale di questo apparecchio poiché difficilmente mi è capitato di vedere una regolazione della tensione di uscita che riguarda ogni singolo diodo della valvola raddrizzatrice e quindi, nella sostanza, che regola anche la tensione di ogni semionda applicata al doppio diodo della valvola 367 (Vedi Fig.6).

Figura 6La stampigliatura che si trova sopra al bulbo della valvola raddrizzatrice tipo 367 industrial fabbricata dalla Philips.

I due resistori a filo R1 ed R2 sono infatti collegati in serie all’anodo di ogni singolo diodo e, a tutti gli effetti, provocano una caduta di tensione. Da questa caduta di tensione si ottiene il risultato di regolare singolarmente il valore della tensione di uscita di ogni singolo diodo e quindi di ogni singola semionda della tensione alternata.

Credo che questo artificio sia stato utilizzato per compensare la possibile diversità di tensione dei due rami del secondario del trasformatore che, ovviamente, sono collegati a ogni diodo della valvola raddrizzatrice. Infatti, durante i lavori di restauro, ho notato che due capi dei fili di uscita dei secondari dei trasformatori non provenivano direttamente dall’interno dell’avvolgimento ma erano stati saldati direttamente alle spire degli avvolgimenti secondari del trasformatore!

La modifica che ho appena descritto mi ha portato a pensare che il trasformatore non era stato costruito appositamente per l’utilizzo a cui era stato previsto ma piuttosto è stato adattato all’uso che doveva compiere. In altre parole il trasformatore proviene quasi certamente da una diversa apparecchiatura e successivamente è stato adattato per svolgere la funzione di un carica accumulatori per organi a trasmissione elettrica.

Per completare la descrizione di questo apparecchio ritenevo doveroso rendere noto anche le caratteristiche tecniche della valvola raddrizzatrice biplacca. Vi posso assicurare che anche dopo una assidua ricerca negli elenchi e in alcuni libri che avevo in biblioteca non sono riuscito a trovare nulla su questa valvola raddrizzatrice 367 industrial prodotta dalla Philips.

Come molti sapranno io sono socio di A.I.R.E. (Associazione Italiana per la Radio d’Epoca) da tantissimi anni e quindi sono conosciuto all’interno di questa associazione; a mia volta conosco tanti soci che forse potevano darmi una mano per trovare ciò che stavo cercando. Nella certezza di andare, come si dice, “a colpo sicuro” mi sono rivolto al nostro ex Presidente Sig. Carlo Pria (Vedi Fig.7) poiché nella vasta documentazione che egli possiede ero sicuro avrebbe trovato le caratteristiche principali di questa valvola.

Figura 7Il sottoscritto e il nostro ex Presidente dell’A.I.R.E. Sig. Carlo Pria in una foto ricordo scattata nell’attrezzatissimo laboratorio radio dell’omonimo Presidente.

Infatti, in un bel sabato pomeriggio assolato del mese di dicembre 2021, mi sono recato da lui per chiedere lumi; devo ammettere che, sebbene nel suo archivio c’era veramente l’impossibile, abbiamo avuto non poca difficoltà nel reperire ciò che mi serviva.

Questa difficoltà indica senza dubbio che la valvola in questione, non è una raddrizzatrice molto comune. La situazione è però stata risolta quando il nostro Presidente ha tirato fuori un librone enorme dalla copertina rossa; il testo era in lingua russa o slava sul quale siamo riusciti a trovare finalmente tutto ciò che mi serviva e che, naturalmente, ho inserito qui sotto (Vedi Fig.8).

Naturalmente ringrazio doverosamente anche il Sig. Carlo Pria per avere subito dimostrato la sua disponibilità nonché per il cortese indispensabile aiuto che mi ha gentilmente fornito durante la affannosa ricerca delle caratteristiche elettriche della valvola 367. Come è possibile osservare la valvola è davvero particolare; ha il filamento che funziona con una tensione nominale di soli 1,8 volt nel quale passa una corrente incredibile: ben 8 ampere!!

Anche la corrente anodica massima non è da meno e corrisponde a 6 ampere; in buona sostanza la 367 è un vero doppio diodo di potenza. I collegamenti del relativo zoccolo sono indicati dalla freccia di colore giallo che ho ritenuto opportuno inserire nell’immagine delle caratteristiche relative a questa valvola.

I collegamenti dello zoccolo sopracitati sono stati desunti dall’ultimo numero presente in fondo a destra: 575 (numero riferito alla catalogazione della zoccolatura); se osservate attentamente è lo stesso numero presente nella parte inferiore della circonferenza nella quale vengono indicati la posizione dei piedini di collegamento.

I due selettori S1 ed S2, come precedentemente anticipato, servono solamente per avere due gradini della tensione continua di uscita. Questa funzione viene attivata escludendo o inserendo i due rami aggiuntivi dell’avvolgimento secondario del trasformatore Tr1. Nessun’altra funzione viene attribuita a questi selettori se non quella appena descritta.

Figura 8 – La scansione della pagina del libro che riporta le caratteristiche di esercizio della valvola 367 industrial fabbricata dalla Philips. La freccia di colore giallo indica lo zoccolo e i relativi collegamenti ai piedini della valvola 367.

La descrizione tecnica generale di questo apparecchio, il funzionamento e le caratteristiche tecniche della grossa valvola raddrizzatrice sono state ultimate; ora è possibile trattare la descrizione delle lavorazioni effettuate durante il restauro.

Per semplificare la descrizione e per mostrare fattivamente le operazioni effettuate, anche questa volta ho ritenuto opportuno inserire nell’articolo le numerose fotografie scattate durante tutto il lavoro di restauro; sono completate con chiare didascalie descrittive di ogni singola operazione svolta.

Il restauro

Figura 9Questa immagine mostra le condizioni in cui si trovava l’apparecchio di carica accumuli prima di effettuare le operazioni di restauro.
Figura 10Inizio delle operazioni di smontaggio di tutta la componentistica collocata sulla piastra in ferro di supporto.
Figura 11Distacco dei collegamenti allo zoccolo della valvola raddrizzatrice.
Figura 12Credo che molti di voi si stanno ancora chiedendo per quale ragione io stia smontando tutti i componenti dalla piastra di supporto. Vi assicuro che non sono impazzito (o per lo meno non ancora…) poiché una ragione ci deve pur essere per non poter evitare tutto questo difficoltoso lavoro di completo smontaggio dei componenti. Infatti, tutto questo lavorio, è dovuto in gran parte a una anomalia di un angolo che riguarda la piastra di supporto; in questa immagine ho evidenziato la parte che a mio modo di vedere, oltre a essere pericolosa per gli spigoli taglienti, penalizza l’omogeneità e il risultato estetico-costruttivo di tutto l’apparecchio. Lo smontaggio di tutti i componenti è quindi evidentemente derivato dal dover riquadrare in modo perfetto la lamiera di supporto e quindi avere, oltre a una minore pericolosità di inciampo o di ferite durante l’eventuale movimentazione, anche una complessiva e bella presenza dell’apparecchio.
Figura 13Ecco qui la piastra in ferro di supporto perfettamente riquadrata. Per questo lavoro devo ringraziare il Sig. Ambrogio: padre del mio carissimo amico Claudio Nava: fabbro Artigiano di Montevecchia (LC). Con il papà Ambrogio abbiamo infatti tagliato e riquadrato perfettamente con una cesoia a ghigliottina di tipo industriale, presente nella sua attrezzata officina, la storica lamiera del carica accumulatori. All’inizio il padre di Claudio sembrava quasi divertito della mia strana richiesta (si faceva prima a tagliare una lamiera nuova dato i margini molto ridotti dei tagli da effettuare) ma poi, una volta spiegato che la lamiera originale doveva essere recuperata in quanto apparteneva a un apparecchio elettrico storico, allora il Sig. Ambrogio si è subito prodigato in ogni modo per accontentare la mia richiesta. Pensate che alla fine del lavoro, anche dietro mia notevole insistenza, non mi è stato richiesto nessun compenso…Grazie quindi, grazie davvero ad Ambrogio e a Claudio che con grande generosità, disponibilità e amicizia mi hanno sempre aiutato e sostenuto!
Figura 14Eccoci qui insieme in questa foto ricordo nell’officina; a sinistra il Sig. Ambrogio in centro il sottoscritto e a destra il carissimo amico Claudio. Evviva la sana e tradizionale Brianza Artigiana che, caparbiamente e affrontando sempre maggiori difficoltà, resiste, lavora e produce!
Figura 15Una volta tagliata e riquadrata la lamiera è stato possibile rimontare tutti i componenti. Nell’immagine possiamo osservare la fase iniziale di rimontaggio dello zoccolo e dei relativi collegamenti.
Figura 16I lavori proseguono con il montaggio dei due selettori S1 ed S2 e la saldatura dei fili di collegamento ai restanti piedini dello zoccolo della valvola raddrizzatrice.
Figura 17Terminato di rimontare e di risaldare i fili di collegamento a “bordo” della piastra di supporto, ho iniziato la stessa operazione per i fili provenienti dal trasformatore.
Figura 18La morsettiera a cui erano collegati i fili di uscita della corrente continua è stata ricollegata e riavvitata sulla piastra di supporto.
Figura 19Discorso diverso per i fili rigidi smaltati che alimentano il primario a 125 volt di Tr1. Questi fili rigidi smaltati erano collegati direttamente ai fili di un cavo isolato in cotone; le giunte erano state ricoperte con del nastro isolante in tela. Il terminale opposto del cavo in cotone faceva capo a una normale spina elettrica da 6 amp. Questo sistema malfermo aveva danneggiato i tubetti Sterling isolanti di uscita del trasformatore e, naturalmente, anche gli stessi fili rigidi smaltati che vi passavano all’interno. Per evitare che questi ultimi si potessero spezzare durante la movimentazione dell’apparecchio, ho ritenuto opportuno costruire una morsettiera di entrata. Naturalmente, per questa costruzione, ho utilizzato del materiale appartenente alla stessa epoca; il materiale lo avevo già disponibile in laboratorio. Nell’immagine si vede la fase preliminare di costruzione; per il supporto isolante ho impiegato un pezzo della stessa bachelite nera che è stata utilizzata nella morsettiera originale già presente.
Figura 20Ecco qui la morsettiera ultimata che ho costruito; dall’immagine si nota che è stato utilizzato materiale d’epoca in modo da risultare omogeneo al materiale originale con cui è stato costruito questo apparecchio.
Figura 21Eccomi qui alle prese con l’ultima saldatura che ha stabilito il termine di tutte le operazioni di restauro di natura elettrica. Ora manca solo di effettuare il collaudo finale di funzionamento.
Figura 22Collaudo finale dell’apparecchio restaurato; naturalmente, dopo tanto lavoro, ha dato esito positivo. L’alimentazione a 125 volt, fornita al primario del trasformatore, è stata ottenuta da un vecchio variac (prodotto della Belotti di Milano) che si nota a sinistra dell’apparecchio storico restaurato.
Figura 23Dalle immagini pubblicate è facile riscontrare che l’apparecchio descritto in questo articolo, non era dotato in origine di un idoneo supporto che evitasse il diretto contatto della parte ferrosa inferiore del trasformatore con la superficie su cui doveva essere appoggiato. In buona sostanza, il carica accumulatori, era sicuramente depositato all’interno dell’organo senza creare nessun problema ma ora, per poter essere depositato sopra un mobile o sopra a una qualsiasi superficie senza che la omonima superfice venga rovinata, abrasa o graffiata, si doveva dotarlo di una base in legno che evitasse una tale circostanza. Per questo motivo ho quindi provveduto a costruire una solida base in legno di quercia (sagomandone i lati per una ovvia ragione estetica) con lo scopo principale di evitare di rovinare qualsiasi superficie su cui depositare l’apparecchio. Nell’immagine: la base in legno appena ultimata.
fig. 24 - applicazione piedini
Figura 24 – Una volta costruita la base in legno, sorgeva il problema di studiare un mezzo con cui fissarla alla parte inferiore del trasformatore. La risoluzione più idonea e meno invasiva possibile che ho pensato, è stata quella di applicare quattro piedini al trasformatore che andavano inseriti direttamente ai lati dei prigionieri; questi ultimi (i prigionieri) sono gli stessi che tengono serrato il pacco lamellare. Nell’immagine osserviamo la foratura di uno dei quattro piedini; sono stati ottenuti segando un angolare in ferro da 20×20 mm.
fig. 25 - piedini ultimati e verniciati
Figura 25I piedini ultimati e già verniciati pronti per il montaggio.
fig. 26 - montaggio piedini sul trasformatore
Figura 26I piedini montati sul trasformatore e la collocazione dell’omonimo trasformatore sulla base di appoggio in legno precedentemente realizzata (Vedi Fig.23).
fig. 27 - verniciatura a gommalacca
Figura 27 – La base in legno grezzo è stata successivamente smontata per effettuare le operazioni di verniciatura. La vernice utilizzata è la classica gomma lacca che ho steso in otto mani + una ulteriore mano di finitura a tampone. Nell’immagine: la verniciatura della prima mano e a seguire le altre otto…
fig. 28 - base a verniciatura ultimata
Figura 28 – La lucente base in legno a verniciatura ultimata.
fig. 1 - carica accumulatori per organi a canne
Figura 29Ecco qui il risultato finale di tanto lavoro; come potete osservare ho saldato al cavo originale isolato in cotone i terminali “a forchetta” in ottone, idonei da collegare ai morsetti a serrafilo e, dal lato opposto dello stesso cavo, ho collegato una antica spina elettrica che veniva utilizzata in quegli anni. Il tutto per rispettare e allo stesso tempo conservare pedissequamente il materiale utilizzato in quel periodo pionieristico di natura storico-elettrica che, come ho più volte evidenziato, in seguito proseguì, si sviluppò e gettò le basi per ciò che negli anni a seguire si tramutò concretamente nel futuro dell’organaria moderna a trasmissione elettrica.

Nella speranza che l’articolo sia stato di vostro gradimento, esprimo a voi tutti i miei più cordiali saluti.

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