Enrico Aletti (1910-1981), l’unico erede della ditta organaria “Fratelli Aletti” fondata nel 1849, già da ragazzo mostrava un grande interesse per tutto ciò che concerneva il campo elettrico ed elettronico e di conseguenza si è dedicato allo studio dell’elettrotecnica. Alla fine degli anni trenta e nei primi anni quaranta ha sviluppato dei congegni elettronici per la ditta di suo padre, fra cui anche il modello del primo organo elettronico italiano. A causa della seconda guerra mondiale queste invenzioni non sono mai state commercializzate. L’autore del libro, tecnico in una grande azienda di energia e gas a Milano, è uno dei tre figli dell’organaro Alessandro Corno che come collaboratore dopo il suo apprendistato rilevò la ditta dall’Enrico Aletti nel 1947. A motivo dell’interesse dell’autore per la tecnica radio durante la sua giovinezza, Enrico Aletti si accorse di lui, gli regalò degli apparecchi da lui stesso costruiti, e gli raccontava minuziosamente delle sue realizzazioni e dei suoi sviluppi in campo elettronico, fino alla sua morte nel 1981. Nel 2009/2010 l’autore ha ricevuto tutta la strumentazione elettronica rimasta insieme all’archivio storico della ditta “Fratelli Aletti” dai due figli di Enrico Aletti. Il libro è la somma della ampia conoscenza così raggiunta.
Nel primo capitolo del libro la storia e lo sviluppo dell’organo è raccontata dall’antichità fino all’inizio dell’ottocento, limitata dal secolo XVI all’Italia. La storia della ditta Aletti è l’argomento del secondo capitolo, con una ampia discussione del primo brevetto ottenuto da questa ditta nell’anno 1896 che è anche stampato completamente nell’appendice e riguarda un amplificatore pneumatico a due stadi per l’azionamento dei registri. Il terzo capitolo tratta degli organi costruiti dalla ditta Aletti basandosi sull’archivio ottenuto dai figli dell’Enrico Aletti e si chiude con l’installazione dell’organo per la chiesa di Cañada de Gómez in Argentina.
Come introduzione all’argomento proprio il capitolo quattro presenta delle invenzioni importanti nel campo dell’organo elettronico: il Telegrafo Armonico di Elisha Gray (brevetto US166095, 1875), il Choralcelo di Melvin Severy (US890803, 1908), il Telharmonium di Thaddeus Cahill (US580035, 1897), l’Orgue des Ondes di Edouard Eloi Coupleux e Joseph Armand Givelet (US1911309, 1933), e l’Organo Hammond di Laurens Hammond (US1956350, 1934). La storia completa della musica elettronica conosce più strumenti (si veda per esempio http://120years.net/the-ondes-martenotmaurice-martenotfrance1928/), ma la scelta fatta qui considera degli strumenti polifonici che possono venire designati “organi”. Quindi, per esempio, le Ondes Martenot con la stessa tecnica come l’Orgue des Ondes non vengono trattate.
Il capitolo cinque è il capitolo più importante del libro trattando inizialmente della vita di Enrico Aletti e poi del suo brevetto italiano N° 378.223 dell’anno 1939 per un organo elettronico. Lo schema elettrico è molto semplice e consta di un condensatore, che si carica attraverso una resistenza variabile per la regolazione della frequenza, e di una lampada al neon collegata in parallelo al condensatore che scarica il condensatore appena raggiunto il valore di innesco della lampada (circa 70 volt). Il circuito, che può venire trovato nei libri di testo di elettronica ancora oggi, genera una oscillazione a forma di dente di sega e venne descritto la prima volta nel 1921 (S.O. Pearson, H. St. G. Anson, Demonstration of Some Electrical Properties of Neon-filled Lamps, Proc.Phys.Soc.London, 34 (1921) 175-6). L’Aletti montò sette circuiti del genere con un alimentatore e un trasformatore di uscita su una tavola di legno. Le frequenze dei circuiti erano accordate alle sette note di una ottava e potevano essere attivate premendo dei pulsanti. L’ apparecchio conservato e restaurato è raffigurato sulla copertina del libro che presenta anche qualche appunto conservato dell’Aletti su questo congegno. Gli svantaggi del circuito, visti dalla prospettiva di oggi, furono la tensione abbastanza alta e le variazioni nelle caratteristiche delle lampade che oggi potrebbero venire sostituite dai diodi tunnel o più semplicemente dai circuiti integrati come il popolare timer 555.
I capitoli da sei a nove descrivono altri congegni costruiti dall’Aletti e conservati: un elettrodiapason, un complesso di sperimentazione (torre elettronica con voltmetro, preamplificatore di bassa frequenza, amplificatore di bassa frequenza, alimentatore stabilizzato e cassa acustica), inoltre un frequenzimetro in cui la tensione alternata, di frequenza sconosciuta, mette in moto un motore sincrono girante due contagiri, e una semplice apparecchiatura che mette a disposizione una serie di tensioni alternate. Tutti gli apparecchi sono restaurati e vengono raffigurati insieme ai loro disegni elettronici, agli appunti storici dell’Aletti e a documenti ed annotazioni sulla storia della ditta. Il capitolo nove raffigura anche alcuni antichi relè di un organo ad alimentazione elettrica della ditta Aletti del 1903 e riferisce come l’Aletti cominciò a costruire degli elettromagneti alimentati dalla corrente alternata sotto la pressione dell’economia della seconda guerra mondiale. L’apparecchio menzionato, mettente a disposizione una moltitudine di tensioni alternate, serviva per testare questi elettromagneti.
A differenza dei capitoli precedenti il capitolo dieci non tratta nessun apparecchio completo ma solo due componenti che devono aver fatto parte di un apparecchio costruito dall’Enrico Aletti come anche indicano due frammenti del suo archivio. I due componenti sono una cellula fotoelettrica e un disco di zinco con dei fori su due cerchi concentrici di cui il cerchio interno ha 24 fori equidistanti, l’esterno 96. Ovviamente la cellula veniva illuminata attraverso i fori del disco ruotante e così forniva un’oscillazione elettrica che, dopo la sua conversione in un altoparlante, rendeva una nota dipendente della velocità della rotazione, con una nota di due ottave più alta per il cerchio esterno. Il lettore subito pensa al “Lichtton-Orgel” di Edwin Welte presentato per la prima volta nel 1936 nella filarmonica di Berlino. Questo organo usava dei dischi di vetro con cerchi concentrici ciascuno dei quali rappresentava una nota e portava un motivo regolarmente ripetuto. Questo motivo venne ottenuto dalle immagini tracciate sull’oscillografo dai suoni degli strumenti musicali e fissate fotograficamente.
Adesso qualche osservazione generale. Alcune parti del libro potrebbero venire accorciate, per esempio il primo capitolo sulla storia dell’organo appare fuori luogo, considerata la grande importanza dell’organo elettronico per il libro. La descrizione della torre elettronica includente una discussione estesa dei tubi stabilizzatori potrebbe venire accorciata molto, perché i disegni sono circuiti standard di valvole e la tecnica dei tubi stabilizzatori è troppo particolare. Il racconto esteso sulla maniera in cui il primo brevetto, ottenuto dalla ditta Aletti nell’anno 1896 è stato rintracciato con difficoltà a Milano e a Roma, è divertente e in qualche modo conosciuto allo storico della tecnica, ma non doveva far parte di un testo la cui natura sta tra il divulgativo e lo scientifico.
Le spiegazioni tecniche dell’autore sono chiare. I circuiti elettronici non presentano nessuna difficoltà nel farsi capire dal lettore con un poco di conoscenza elettronica perché sono circuiti standard di valvole. C’è stato solo un punto dove il recensore non ha capito qualcosa all’inizio, e questo è stato giusto il più semplice circuito del libro, il Telegrafo Armonico di Elisha Gray; ma la conoscenza imperfetta della lingua italiana potrebbe esserne stata la causa, perché egli non ha potuto farsi un’idea di un relè autovibrante; ma leggendo il brevetto americano ha capito subito, e senza dubbio avrebbe capito il termine cicalino elettromeccanico. È chiaro che solo i lettori con conoscenza di elettronica trarranno il massimo vantaggio del libro, ma le parti e le informazioni senza elettronica sono così estese che anche i lettori di altre professioni troveranno certamente il libro interessante.
Il libro ha 196 pagine, è di formato 22,0 (larghezza) x 30,5 (altezza) cm, stampato su carta patinata di grande valore, e contiene numerose immagini, molte a colori e di grande formato, un volume di lusso ed una grande presentazione dell’autore e dell’impaginatore. L’autore merita anche un massimo elogio per la restaurazione perfetta degli apparecchi lasciati dall’Enrico Aletti.
Dr. rer. nat. habil. Albert Lötz pensionato membro della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera e membro onorifico del comitato delle pubblicazioni della rivista “Das Mechanische Musikinstrument”.